Nuove tendenze: il fenomeno del reshoring
Offshoring: un modello in difficoltà
Esiste un fenomeno di particolare attualità, che rappresenta un’inversione di tendenza significativa rispetto ai trend in voga nel decennio passato: La quasi totalità delle grandi aziende affacciate sui mercati internazionali ha attuato strategie basate sulla delocalizzazione di ampie fasi della propria filiera per approfittare del vantaggio economico derivante dall’operare in zone dove il costo del lavoro è più basso rispetto al paese di origine.
Questa manovra, comunemente definita “offshoring “ è stata largamente praticata anche (e forse soprattutto) nel nostro paese pressoché in ogni tipo di industria, ma specialmente in quei settori produttivi maggiormente rivolti verso l’estero (sia il Fashion, che l’Automotive fino a giungere ad alcune filiere di approvvigionamento di beni alimentari e di materie prime): si acquista o si va a produrre nelle così dette “nazioni in via di sviluppo”, dove il rapporto €/h investito sul personale determina un vantaggio competitivo impossibile da fronteggiare per chi impianta l’intero ciclo in Italia, assoggettandolo quindi ad una legislatura tra le più vincolanti e burocratizzate (specialmente dal lato datoriale) e ad una tassazione tra le più alte al mondo.
L’esplosione della pandemia di Covid 19 prima, e l’esplosione del conflitto Russo-Ucraino poi, hanno peró gettato le basi logiche per un’inversione di questa tendenza, alla luce dei maggiori costi e delle troppe variabili da affrontare a fronte di un allungamento tanto esasperato della catena di approvvigionamento e di distribuzione: l’impennata dei costi dei carburanti, le chiusure di porti e snodi commerciali fondamentali, l’impasse del commercio marittimo e la crisi del container sono tutti elementi che aggiungono costi ed incertezze a chi ha deciso di dislocare le varie fasi del proprio iter produttivo e che hanno generato una crisi della logistica a livello globale.
Il contesto in cui si opera attualmente è definito con l’acronimo VUCA (Volatility, Uncertainty, Complexity, Ambiguity), che, anche senza la necessità di dilungarsi in approfondimenti, ben illustra la difficoltà di un settore asfissiato da costi ed incertezze che ne provano la resilienza.
Il reshoring: una possibile soluzione
Molti analisti individuano una possibile soluzione a queste criticità nell’attuazione di politiche di reshoring, ovvero di progressivo rientro nel paese di origine di tutte (o parte) delle attività precedentemente esternalizzate.
È piuttosto intuitivo comprendere come l’accorciamento della Supply Chain relativa a ciascun prodotto possa abbassare la quantità di variabili cui la produzione e la commercializzazione dello stesso siano sottoposte, rendendo più prevedibili e controllabili i costi generati nel processo ed i lead time necessari all’approvvigionamento delle varie fasi.
Il dibattito sull’argomento è vivace: se da un lato c’è chi individua nel fenomeno la panacea di tutti i mali, leccandosi i baffi per la mole di lavoro e occupazione che l’applicazione di queste politiche riporterà in patria, fino, nei casi più estremi, a teorizzare il progressivo tramonto del mercato globale, dall’altro sono molte le preoccupazioni riguardo all’impatto che la diffusione di queste pratiche comporterà per gli operatori del settore Supply Chain, ed in particolare dei trasporti, vista la prevista riduzione dei volumi in transito e delle tratte da servire.
L’impatto di questo fenomeno in tutti i comparti della logistica sarà ineludibile, e metterà nuovamente alla prova l’efficienza e le capacità adattive di ognuna delle aziende coinvolte nelle operazione di fulfillment a tutti i livelli. Esattamente come l’esplosione del fenomeno e-commerce comporterà una maggiore centralità delle logistiche di prossimità, che già sappiamo essere al centro di un processo di evoluzione che sta comportando la ridefinizione delle abituali logiche e dinamiche di servizio.
Il nearshoring
Più verosimilmente però, il panorama evolverà verso soluzioni ibride: non sono nel frattempo decaduti i presupposti che hanno spinto i giganti dell’industria a delocalizzare le proprie attività. In secondo luogo non sarà facile per nessuno prevedere nel dettaglio quanto ed in quanto tempo il reshoring di una determinata fase produrrà benefici, e quanto invece comporterà complicazioni di varia natura (burocratiche, sindacali, produttive, nel reperimento delle competenze…).
Il professor Perona (titolare della cattedra di Logistica Industriale presso l’Università di Brescia e direttore scientifico del Laboratorio RISE- Research and Innovation for Smart Enterprises) a proposito sulle proprie pagine LinkedIn scrive: “Il basso costo del lavoro nei paesi vicini al nostro potrebbe favorire la pratica del nearshoring, ossia il trasferimento dell’attività produttiva a un’altra organizzazione che si trova all’interno della propria regione geografica. Due fattori sono molto importanti in queste scelte di avvicinamento, la stabilità geo-politica e finanziaria dei paesi e la presenza di competenze specializzate nei diversi settori. Se nel breve termine la rilocalizzazione della produzione può comportare un certo impegno, nel lungo termine la possibilità di presentarsi quali fornitori partner più localizzati per creare catene di approvvigionamento resilienti in un clima crescente di tensioni commerciali globali può rivelarsi la strategia vincente”.
Interessante anche il parere di Innocenzo Cipolletta, presidente di Confindustria cultura Italia, espresso in una recente intervista pubblicata su Il Foglio: “Il ritorno in Italia delle catene produttive sarebbe ipotizzabile solo a patto che il paese facesse un tale salto in avanti sul piano tecnologico da rendere competitivi i costi di fabbricazione dei prodotti”.
Più semplicemente “la globalizzazione non sarà più quella che abbiamo conosciuto negli ultimi venti o trent’anni: è probabile che si verifichi un avvicinamento delle catene produttive all’Europa, ma mi pare più possibile nel contesto del bacino del Mediterraneo che a livello italiano. Paesi come Turchia, Marocco, Egitto, Tunisia rappresentano già oggi per alcune lavorazioni, per esempio in quelle del tessile-abbigliamento, un’alternativa alle regioni asiatiche che sono molto più lontane e pongono problemi di tipo logistico”.
Una logistica sempre più collaborativa
Quello che è certo è che non sarà il mercato a ridimensionarsi, o perlomeno non sarà questo l’obiettivo delle aziende che investiranno in questa direzione. Lo scopo perseguito è la razionalizzazione dei costi di approvvigionamento, ed il ridimensionamento delle catene di produzione e confezionamento.
Nel concreto questo percorso si tradurrà nella scomparsa di assurdi logistici non sostenibili (recentemente mi è capitato di vedere online della frutta confezionata la cui etichetta dichiarava fosse stata coltivata in Argentina, confezionata in Tailandia e poi commercializzata negli U.S.A. facendo due volte il giro del mondo prima di essere distribuita…), e non in una minor reperibilità di prodotti. Anzi, lo scopo è proprio quello di scindere la catena produttiva dalle difficoltà di approvvigionamento, rendendo i prodotti più immediatamente disponibili e producibili secondo logica “Just in time”.
Prevedibimente però aumenteranno anche gli stock nelle logistiche di prossimità ed in questa direzione i fenomeni di reshoring saranno un volano importante per la diffusione di magazzini digitalizzati di ultima generazione e tutte le declinazioni di quella che viene definita Industria 4.0.
Potrebbe infatti essere il potenziamento tecnologico il metodo di superamento delle difficoltà imposte dall’elevato costo del lavoro sul nostro suolo. Certo un’aumento della produttività in grado di garantire l’assorbimento di questa differenza sarebbe ottenibile solo a fronte di grandissimi investimenti, che non sono certo siano alla portata di tutti.
Anche per questa ragione gli analisti profilano il futuro delle logistiche di prossimità con connotazioni definite di tipo “collaborativo”, ovvero dove ogni azienda mette a disposizione dei propri partner competenze, tecnologie, persino volumi al fine di favorire quei percorsi di ottimizzazione tanto difficili da raggiungere a fronte della frammentazione del flusso tipica del panorama moderno.