Le nuove competenze della supply chain
Il panorama sta lentamente e faticosamente cambiando. La tanto paventata digitalizzazione della logistica è ormai una realtà affermata anche nella maggior parte delle PMI, sebbene con diversi livelli di permeazione nelle prassi operative delle aziende più piccole.
Intendiamoci, digitalizzazione non significa solamente automazione delle operazioni di movimentazione. Troppo spesso ci dimentichiamo che è compito della logistica la gestione del movimento delle merci, ma anche delle relative informazioni, ed è proprio da quest’ultimo punto di vista che la digitalizzazione ha primariamente attecchito dato che l’implementazione di sistemi digitali su questo fronte è stato molto meno costoso e di implementazione molto più facile e proficiente.
La digitalizzazione degli ordini clienti, delle picking e delle packing lists, delle liste di trasporto, dei brogliacci e dei DDT, delle SKU, degli inventari e degli archivi…
Sono tutte soluzioni oggi ampiamente adottate da organizzazioni di ogni livello, che vengono implementate tramite l’installazione di sistemi informatici e terminali a fronte dell’erogazione di investimenti moderati, spesso scalabili ed elasticamente adattabili alle fluttuazioni del mercato e del flusso che rendono tradizionalmente la gestione della Supply Chain un’arte che poggia su una materia liquida.
Questo scoraggia soprattutto le logistiche di terze parti dal compiere quel salto verso l’automazione integrata delle proprie operazioni di movimentazione, spaventate dall’irreversibilità di simili tecnologie e dalla scarsa adattabilità di sistemi ed infrastrutture fatti per operare a regimi altamente standardizzati (parametrandole soprattutto all’elevatissimo costo di acquisto, installazione e manutenzione).
Le obiezioni sono pertinenti ed in certi casi opportune, ma sono anche un forte freno al mantenimento della competitività delle stesse aziende, che rimangono inevitabilmente ancorate a modelli di business ormai superati ed a performances costi operativi difficili da contenere negli scarsi margini che il settore concede.
L’unica soluzione è riflettere sulle proprie operazioni ed iniziare a pensare ad un’evoluzione delle stesse in chiave 5.0, per quanto applicabile e sostenibile, in maniera scalabile ed incrementale.
Per fare questo è urgente dotare le proprie strutture di competenze nuove e trasversali.
Il primo passo? Consulenza e formazione
Da dove cominciare quindi?
La risposta è molto semplice: dall’inizio.
Se si pensa ad investire sull’automazione delle operazioni di Supply Chain il primo passo è quello di analizzare nel dettaglio le proprie operazioni, i propri colli di bottiglia ed in generale i propri flussi e KPI.
Se è vero che non ogni livello di automazione è in grado di assicurare a chi lo possiede un incontestabile vantaggio competitivo, è altrettanto vero che non è produttivo rimanere all’età della pietra mentre intorno a noi sfrecciano droni volanti.
Abbiamo bisogno di competenze che analizzino i processi, che si occupino di snellirli e di aiutarci a capire quali fasi sarebbero surrogabili tramite il ricorso all’automazione, calcolando in maniera prodromica l’impatto sulle nostre routine produttive ed il valore aggiunto che sono in grado di apportare alla nostra attività, ed oliandone l’implementazione.
Esistono ampie incentivazioni riguardo all’ingaggio di consulenti per la trasformazione delle aziende verso i modelli imposti dall’Industry 4.0 e 5.0, e ritengo sia un’occasione persa non sfruttarle.
Il consiglio è quello di farsi aiutare nella valutazione di quali siano le implementazioni più calzanti nel proprio sistema, e di iniziare a preparare la loro introduzione attraverso il coinvolgimento di figure esperte in efficientamento e digitalizzazione.
L'importanza della formazione
Ma non è tutto: le implementazioni che andremo ad installare richiederanno al personale interno di acquisire nuove capacità, e, nella migliore delle ipotesi, di dedicarsi maggiormente attività di controllo o a maggior valore aggiunto. Per preparare questa transizione è opportuno investire nella costruzione interna di queste nuove competenze, coinvolgendo e motivando il personale verso il corretto e completo utilizzo delle nuove tecnologie che acquisiremo.
Molte aziende già dispongono ad esempio di evoluti sistemi gestionali che però, all’interno delle proprie prassi produttive, vengono utilizzati al minimo delle loro funzioni proprio per l’incapacità del sistema interno di modificare le proprie routine operative.
Dati inseriti sommariamente, schede non compilate integralmente, forzature manuali di operazioni e controlli che dovrebbero essere automatici, sono prassi che limitano la portata di questi software in termini di controllo di gestione e ne corrompono i dati e le capacità di forecasting.
In pratica è come possedere una Formula 1 ed utilizzarla per andare a fare la spesa: abbandoniamo innanzitutto la cultura del “filo di gas” ed esigiamo di iniziare a sfrecciare a tutta velocità!
Il personale possiede tutta la competenza specifica del proprio settore per imparare ad utilizzare tool creati appositamente per aiutarli nel controllo delle proprie funzioni, ma, in questi casi, non ha cultura digitale, e non riesce a capire l’importanza di una corretta gestione e condivisione dei dati a livello extradipartimentale, principalmente perché ignora le implicazioni che una migliore gestione degli stessi ha sulla produttività dell’azienda e sulla tracciabilità delle proprie operazioni.
Oppure non comprende quanto queste specifiche apportino valore all’attività dell’azienda.
Certo è che si tratta di una forma di “pigrizia ignorante” che fa in modo che vinca l’inerzia dell’“abbiamo sempre fatto così”, e che dovrebbe essere contrastata.
Il modo concreto per farlo è la formazione: investire sulla creazione della cultura dell’efficienza e della digitalizzazione è importante oggi come mai, perché se è vero che da un lato le aziende dovranno cercare all’esterno nuove figure e competenze per iniziare a pianificare l’attività in maniera diversa, è altrettanto vero che non potranno né dovranno disperdere il know how creato e posseduto, e che la miscela vincente di novità e tradizione sarebbe il compromesso più vantaggioso cui ambire.
Se il personale padroneggiasse teorie e tecniche di efficientemente ad esempio (la Teoria dei Vincoli, la Lean Transformation, l’Agile, Six Sigma e chi più ne ha più ne metta…) sarebbe maggiormente in grado di snellire le operazioni sotto la propria responsabilità, comprenderebbe meglio il valore aggiunto che le novità (e le funzioni avanzate di tecnologie già possedute) porterebbero, analizzerebbe con più pertinenza una quantità maggiore di dati e KPI, sarebbe proattivo nel suggerirci possibilità di automazione o recupero produttivo.
Comprenderebbe come i sistemi digitali moderni sono perfettamente “User Friendly”, fatti per essere accessibili a tutti, a patto che si comprendano esattamente le funzioni che si stanno gestendo.
Il primo passo per l’evoluzione dei nostri sistemi è di tipo culturale: il terreno da coltivare va preparato se si vuole ottimizzarne la resa.
L’opinione di chi scrive è che non esista un altro modo per un’automazione armonica dei nostri sistemi.
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